9 agosto 1945, Nagasaki: di origini lucchesi
il co-pilota dell'aereo che sganciò la bomba
  09 Agosto 2017
Lucca
9 agosto 1945, Nagasaki: di origini lucchesi <br>il co-pilota dell'aereo che sganciò la bomba

Alberto Angela durante il viaggio negli Usa alla ricerca di dati per la sua trasmissione su Hiroshima e Nagasaki, s’imbattè nella storia di Fred John Olivi nato nel 1922 da genitori italiani emigrati nei primi del ‘900, co-pilota del B 29 che sganciò la bomba atomica su Nagasaki. Una volta incontrato, Angela potè meglio approfondire la storia di questo militare americano che era nato a Pullman, vicino a Chicago da genitori emigrati da Corsanico di Massarosa: la madre Primitiva Simonini e il padre Adorno Olivi, originario di Lucca. Fred ebbe modo di raccontare la sua storia e di consegnare ad Angela un manoscritto, “Nagasaki per scelta o per forza” con l’ordine di pubblicarlo soltanto dopo la sua morte. Si trattava di una sorta di diario e di racconto della tragica vicenda che vide Olivi far parte dell’equipaggio del “BoxScar”, il B-29 “Superfortress” quadrimotore impiegato dagli americani per il bombardamento di Nagasaki, il 9 agosto del 1945. Olivi volle raccontare ad Angela come fin da ragazzo aveva avuto una passione per diventare pilota di aerei militari. Soprattutto aerei di grandi dimensioni che, strano caso del destino, potè poi pilotare durante la 2a Guerra Mondiale come ufficiale dell’Usaaf, l’aeronautica militare americana. Furono anni di impegnativo apprendistato attraverso la rigida selezione imposta dal reclutamento previsto per questo genere di incarico. Con vari gradi di apprendimento Olivi passò attraverso fasi di valutazione durissime fino ad approdare al grado di Lieutenant con il brevetto di pilota di quadrimotori da bombardamento. Il suo destino ebbe a compiersi quando gli Stati Uniti, in guerra con l’Impero del Sol Levante da oltre quattro anni, dopo la vicenda dell’attacco subìto nella base di Pearl Harbor, il 7 dicembre del 1941, avevano deciso di impiegare la bomba atomica sul Giappone che non intendeva arrendersi. Ancora oggi a così tanti anni trascorsi da quei fatti, l’olocausto nucleare sulle popolazioni inermi delle due città martiri del Giappone, pone degli interrogativi cui non è facile rispondere. L’equipaggio del BoxScar visse a sua volta, come in una nemesi drammatica, momenti di incredibile tensione dovuti a tutta una serie di contrattempi e di anomalie tecniche. Va ricordato che, contrariamente agli ordigni tradizionali, che potevano anche essere riportati alla base se non fossero stati sganciati sull’obiettivo, nel caso della bomba atomica, si doveva procedere ad attivare i detonatori di cui era dotata per averla pronta allo sganciamento e una volta armata doveva essere sganciata sull’obiettivo ad ogni costo. Il B 29 su cui era Olivi aveva il piano predisposto che prevedeva come obiettivo la città di Kokura, con Nagasaki come obiettivo di riserva. Il destino volle che Kokura risultò essere coperta da nubi e poiché l’ordine tassativo di operazione prevedeva di procedere al bombardamento a vista e non con il radar, fu che Nagasaki, la città più “occidentale” del Giappone, diventasse l’obiettivo di quell’azione. Il BoxScar procedette quindi verso il nuovo obiettivo e una volta raggiunto effettuò lo sganciamento della bomba al plutonio.
Gli americani avevano testato la prima bomba atomica nel luglio del ’45, ad Alamogordo nel New Messico e l’esperimento era riuscito come previsto. Il progetto Manhattan, così si chiamava il segretissimo programma per la realizzazione di un ordigno nucleare a scopi bellici, era venuto a costare più di due miliardi di dollari del tempo e aveva visto coinvolti centri di ricerca, università, laboratori segreti e schiere di tecnici, scienziati, fisici, che operarono sotto la spinta anche del rischio che i nazisti potessero giungere per primi al traguardo della realizzazione di un ordigno nucleare.
Il Giappone com’è noto dopo questo seconda tragedia si apprestò a chiedere la resa senza condizioni. Una volta finita la guerra mondiale, furono infinite le valutazioni sulla opportunità o meno di effettuare questi due bombardamenti. Olivi ebbe a sostenere che secondo lui non era possibile altra scelta per gli Stati Uniti. Dato che in caso di invasione del Giappone, da terra, si erano previsti da parte americana più di un milione di soldati uccisi in battaglia, conoscendo lo spirito del Bushido insito nella cultura giapponese, che non ammetteva alternative se non la lotta ad oltranza. Con l’inferno nucleare sul Giappone, secondo Olivi si erano risparmiate le vite di così tanti soldati americani e questo aveva più che giustificato quanto avvenuto.
Olivi venne a mancare l’8 aprile del 2004 e solo allora il suo diario-testamento fu dato alle stampe: “Nagasaki per scelta o per Forza”.

Gianni Giampaoli